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Condizioni di vita e reddito delle famiglie 2023-2024: cresce il rischio di povertà

Secondo i dati Istat, nel biennio 2023-2024 si osservano importanti variazioni nelle condizioni di vita e nei redditi delle famiglie italiane, con una situazione economica che evidenzia segnali di fragilità. In particolare, nel 2023 il reddito delle famiglie ha subito una riduzione in termini reali, mentre nel 2024 si registra un lieve peggioramento degli indicatori di povertà ed esclusione sociale.

Il rischio di povertà o esclusione sociale riguarda nel 2024 il 23,1% della popolazione, in aumento rispetto al 22,8% del 2023. Questo indicatore comprende individui che si trovano in almeno una delle tre seguenti condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale oppure in famiglie a bassa intensità di lavoro.

La quota di persone a rischio di povertà rimane stabile al 18,9%, mentre la percentuale di chi vive in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale è leggermente diminuita dal 4,7% al 4,6%. In aumento, invece, la percentuale di individui in famiglie a bassa intensità di lavoro, che passa dall’8,9% al 9,2%.

Dal punto di vista territoriale, il Nord-est continua a registrare la minore incidenza di rischio di povertà o esclusione sociale con l’11,2%, mentre il Mezzogiorno si conferma l’area più colpita, con il 39,2% della popolazione a rischio. Le famiglie più numerose risultano maggiormente esposte: per quelle con cinque componenti o più, il rischio aumenta al 33,5% (dal 30,7% del 2023) e per le coppie con almeno tre figli al 34,8% (dal 32%). Anche i monogenitori vedono un peggioramento della loro situazione economica, con un’incidenza del 32,1% contro il 29,2% dell’anno precedente.

Un aspetto rilevante riguarda le persone che dipendono principalmente da pensioni e trasferimenti pubblici: il loro rischio di povertà o esclusione sociale sale al 33,1% rispetto al 31,6% del 2023. Diversamente, coloro che vivono in famiglie in cui la principale fonte di reddito è il lavoro dipendente vedono un miglioramento della loro condizione, con un’incidenza che scende dal 15,8% al 14,8%.

Per quanto riguarda i redditi delle famiglie, nel 2023 il reddito medio annuo è stato di 37.511 euro, in crescita del 4,2% in termini nominali, ma in calo dell’1,6% in termini reali a causa dell’inflazione. Il divario tra le famiglie più abbienti e quelle meno abbienti si è ampliato: nel 2023, il reddito percepito dal 20% più ricco è stato 5,5 volte quello del 20% più povero, in aumento rispetto al 5,3 del 2022.

La distribuzione dei redditi varia notevolmente tra le diverse aree geografiche: il Nord-est presenta i redditi mediani più elevati, mentre nel Mezzogiorno il divario rispetto alle altre aree del Paese resta significativo. Le famiglie con figli continuano ad avere redditi superiori rispetto a quelle senza figli, ma le coppie con tre o più figli registrano una riduzione del reddito mediano rispetto a quelle con uno o due figli. Le famiglie monogenitoriali hanno un reddito mediano inferiore alla media, e gli anziani che vivono soli risultano tra i più vulnerabili, con un reddito mediano di appena 17.681 euro annui.

Analizzando la tipologia di reddito, si osserva una riduzione in termini reali dei redditi da lavoro autonomo (-4,3%) e dei redditi da trasferimenti pubblici (-3%), mentre quelli da lavoro dipendente subiscono una flessione più contenuta (-0,6%). Se si considerano i dati dal 2007 ad oggi, la perdita più significativa riguarda i redditi da lavoro autonomo (-23,8%) e da lavoro dipendente (-11,4%), mentre i redditi da pensioni e trasferimenti pubblici sono cresciuti del 2,1% in termini reali.

La disuguaglianza nella distribuzione del reddito risulta in aumento. L’indicatore S80/S20, che misura il rapporto tra il reddito del 20% più ricco e quello del 20% più povero, nel 2023 è pari a 5,5 (contro 5,3 del 2022). Anche l’indice di concentrazione di Gini, utilizzato per misurare la disuguaglianza, è cresciuto nel 2023, attestandosi a 0,323 rispetto a 0,315 dell’anno precedente. Le disuguaglianze risultano più marcate nel Mezzogiorno, dove l’indice di Gini è pari a 0,339, mentre nel Nord-est è il più basso con 0,276.

Un altro fenomeno rilevante è la persistenza del lavoro a basso reddito. Nel 2023, il 21% dei lavoratori ha percepito un reddito netto da lavoro inferiore al 60% della mediana. Le donne sono più colpite degli uomini (26,6% contro 16,8%), così come i giovani sotto i 35 anni (29,5%) e gli stranieri (35,2%). La probabilità di percepire un basso reddito è maggiore per chi ha un contratto a termine (46,6%) rispetto a chi ha un contratto a tempo indeterminato (11,6%). Il settore dei servizi alla persona presenta la maggiore incidenza di lavoro a basso reddito, con il 44,5% degli occupati in questa condizione.

Nel complesso, i dati Istat relativi al 2023-2024 mostrano un peggioramento della situazione economica per molte famiglie italiane, con una crescita delle disuguaglianze e un incremento del rischio di povertà o esclusione sociale. Sebbene vi siano miglioramenti per alcune categorie, la perdita di potere d’acquisto e l’alta incidenza di lavoro a basso reddito indicano che persistono forti criticità nel tessuto economico e sociale del Paese.

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